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giovedì 4 agosto 2011

Gian Piero Stefanoni: “In un tuffo mi rotondo”, per "Agave” di Cinzia Marulli Ramadori

Nel futuro ci sarà di sicuro/ la chiarezza della vita e dell’amore”.


pubblicata su Literaty

Il percorso di lettura di questo libro è partito curiosamente per me dapprima dalla conoscenza diretta dell’autrice, con la quale ho avuto la fortuna di condividere nell’ultimo anno esperienze poetiche importanti (dall’omaggio a Manzù di “S’impalpiti materia” al reading di “Ammaro amore” alla Garbatella) ma della cui scrittura- lo confesso- sapevo ben poco. Ciò che con amore e presenza è trasmesso tanto naturalmente dalla Marulli nella vita, in quella treccia di luce con cui avvolge e a tratti incorona di prossimità chi le è vicino, ritrovo qui intatto e limpido nella cura del mondo che verso dopo verso fiorisce con tanta intensità nel testo.  Ciò, oltre a spiegare la grazia di una figura che reputa e dilata nell’incontro il proprio vortice , dimostra ancora una volta come nell’interrogazione della lingua poetica sia iscritta quella possibilità -che già in sé è anima- in cui l’umano, nella sua restituzione, facendosi ritmo si compie.  Ed allora davvero il fiorire, come dicevamo, è nell’offerta il dono a cui l’autrice ci chiama, consapevole per intelligenza e vicenda personale che vero ingemmare è capacità di respiro che sorge anche dal rischio, frutto ribelle che pure nell’ oscurità cerca varco in tensione di vita. Nell’ agave del titolo si incarna questa lotta, nella traccia paziente di sé con cui finalmente dalla radice esce e si apre alla terra. L’agave, nella cui fioritura si cela la morte della pianta da cui nasce, è la sapiente metafora con cui la Marulli si racconta e si consegna alla vita, in un sigillo quasi evangelico di richiami e risonanze che dell’uno dice il molteplice nel sangue da cui rinasce.  Così già dai titoli si fa dinamica questo sì deciso che coinvolge il lettore in un processo di luce. “Radice”, “Fiore”, “Amnios”, “Aere” e “Amore”, le sezioni. “Ventre”, “Grembo”, “Maternità”, “Vita”, “Luce”, ed ancora “Acqua”, “Marea, “Deserto”, alcuni dei titoli.  Dalla radice al fiore che nell’aria e all’acqua si espande libero, la forma e la sostanza di una femminilità celebrata nella peculiarità dei suoi petali, colori di un universo che raccogliendoci qui si contempla. “La forza compare sotto il manto di luce/ fierezza di donna fierezza di pace/ che stringe e protegge che nulla sconfigge/l’amore più grande che tutt perdona” (“Nel grembo”). Perché è un racconto di tante donne questo canto in cui si leva per ognuna il ringraziamento. Dalla madre (osservata e sofferta nella malattia che la dissecca), alla preziosità delle amiche, alla piccola dolce Roberta, figure, tra le tante, da cui quotidianamente riparte ogni volta il mondo e nella cui ancestralità di nominazione  si racchiude il motivo del nostro stesso mistero: dalla nascita dar nascita. La maternità di cui ci parla, e che ha qui nel disegno del figlio la centralità del dettato, è di fatto anche una maternità di spirito in cui concretamente, nella saldezza che sa d’ogni maturità la fatica e la veglia, l’uomo stesso può trovare nuovi paradigmi di forza per quella vigilanza d’ascolto e per quel trasporto del peso, nel mondo, che è la raccomandazione e la direttrice verso cui ci spinge questa poetessa- tanto fiera e tanto umile nel suo contrapporsi tra l’altro dove può perdersi il seppur minimo eco di coscienza civile.
In conclusione, a questa maternità (che è poi anche l’humus d’ogni vera  poesia) Cinzia nell’approdo ci affida, in attesa e nell’augurio di ritrovarci  insieme nel grembo. Definitivamente e senza più spine nel nostro elemento accordati.      

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