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martedì 11 novembre 2014

Armando Saveriano sulla poesia di Cinzia Marulli

Già nella sua opera prima, “Agave”, Cinzia Marulli avvertiva che il mezzo migliore per sfuggire al mondo e per entrarvi fisiologicamente ed empaticamente in contatto è goethianamente l’arte, sia nel momento della massima felicità sia tra gli spini del più manifesto e intrusivo dolore. Contemporaneamente si serviva della filologia e di un carattere espressionista per rapportarsi ad un’appartenenza non subalterna sul piano delle responsabilità civili e morali, ma anche letterarie. Le cosiddette strutture e le istituzioni condizionano anche lo scrittore, che vive il dilemma dell’integrazione o del distacco: la prima opzione sterilizza la creatività, la seconda isola nella disidentità. Meglio la via di mezzo suggerita in logopea (nell’accezione di “spazio bianco”, sottotesto) dalla Marulli, che non si immatricola nel complesso di norme e condotte ortodosse, ma neanche, pur non rinunciando all’autonomia eterodossa, si isola in una propria dimora di evanescenze, alti e severi ideali, eresie romantiche e fantasmatizzazioni. Nella plaquette “Las Mantas de Dios” (Le coperte di Dio) concede una visione più diversificata del suo personale rapporto “io/altro da me”: spazia dalla riflessione interiore alla percezione universale e atavica di “assenza”, di “vuoto”, eppure di enigmatica fusione nell’essenza cosmica, ad una condanna sociale delle anomie e delle perversioni (raggelante il testo di “Le bambole cieche”), fino ad accedere alla camera satirica e percussivamente irriverente de “I poeti sono brava gente”, che addirittura, nel complesso, in particolare nella reiterazione dell’espressione del titolo, ha un taglio “dialettale in lingua” per la vis prosodica e la eco lirica concentrica.Brano estratto dal testo di Armando Saveriano "Poesia al Casale Versi en plain air " pubblicato su Logopea

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