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sabato 27 febbraio 2016

Percorsi di Cinzia Marulli prefazione Jean Portante (Ed. La Vita Felice)

Esce in marzo la mia terza raccolta di poesia. E' un percorso durato sette anni. Il libro si struttura in tre sezioni. La prima è il "Senso bianco delle nuvole" e traccia visioni e  interrogativi sull'esistenza. La seconda è "Il paradosso del cerchio" ovvero uno sguardo alla vita, nei suoi molteplici aspetti. La terza sezione è "Il riflesso della luce" e rappresenta la mia visione dell'oltre e della morte.

Il mio ringraziamento speciale a Jean Portante per la prefazione intensa e sensibilissima.


Percosi sul sito della Casa Editrice La Vita Felice










La prefazione di Jean Portante

Cinzia Marulli o la sfericità dell’essere

C’è leggerezza nelle poesie di Cinzia Marulli, non quella delle parole, ma del vento, delle nuvole, della nebbia.  Ciò apre il cammino alla chiarezza.  Al biancore.  Sgretola l’oscurità, la rinchiude nell’ombra. Invita al viaggio.  Ci mette in cammino sul sentiero.  E riabilita, non la strada percorsa, ma, dopo di essa, il ritorno.  Mi viene da pensare al poeta Piere Joris quando scrive “se ritorni, riporta il cammino con te”. Questo è un libro del ritorno, dunque, del ritorno eterno, Ma verso dove? Verso che cosa? Verso chi?
La poesia, secondo definizione, quasi, pone delle domande. E, soprattutto, è circolare. Su qualsiasi punto della sua circonferenza, essa è unita a un centro che non abbandona mai, poiché dimenticarlo sarebbe come dimenticare se stessa, divenire sciame di parole nell’eclissi delle nuvole. Queste poesie, questi “Percorsi” sono come aquiloni. Volano, si avvicinano alle nuvole, ma nessuna mano le abbandona. Ed è così, la mano del poeta, distribuisce i fili dal centro dell’esistenza. Il labirinto è lì, ma Icaro è lontano. Il poeta ha appreso la lezione della cera.

In questo senso, “Percorsi” è il libro dei bilanci, e il ritorno è un viaggio intimo verso il centro dell’”io”.  Basta poi affondare la zappa e smuovere la terra intorno ai piedi.  Scavare. Per sotterrare il male di ciò che è stato.  Per dissotterrare i ricordi, così, che come i petali di un fiore esistenziale assorbono la clorofilla che un sole nascosto gli invia.  Poi, ricominciare a mettere un passo dopo l’altro per riannodarsi con il ciclo della vita e della morte. Rinascere fiore. Con i colori del desiderio. E morire in quei stessi colori. Morire, ultimo ritorno alla terra, alla cenere, a quelli – il padre e gli altri – che, prima, hanno preso in prestito l’ultimo percorso.

C’è del sacrificale in questo movimento. Ritualizzazione del ciclo. Del cerchio. La poesia gira intorno al suo nocciolo come la vita gira intorno al sole. E, girando, rifà il cammino che dalla radice va alla spiga e poi ritorna alla radice.  E’ così che si rispondono il futuro e il passato. Grano dopo grano. Grano di rosario. Grano di sabbia.  Poiché anche lì il cerchio domina. Addormentarsi nel mare per risvegliarsi nella pietra. Con, al risveglio, la domanda della chiave. Una chiave a portata di mano, ma chissà a quale serratura è destinata? Mare, pietra. Chiave, serratura. Il cerchio. Ombra, luce. Il cerchio. Come l’”io” uguale all’acqua che evapora, sale verso le nuvole, poi la pioggia che scende, divenuta acqua, sulla terra.

Attenzione però: la poesia di Cinzia Marulli non è una poesia esistenzialista, ma esistenziale. Nel senso che, piantato nella terra, l’essere tende verso l’alto come l’albatros di Baudelaire.  Là dove la speranza ha grandi ali. Ma sente, l’essere, al tempo stesso il bisogno di radicamento nella terra, unica garante affinché non si perda ciò che è stato. L’alto e il basso non si escludono.  C’è di fatto, in queste poesie, una tensione estrema,  un dilaniarsi,  uno strappo, sì una sofferenza tra il bisogno d’immobilità e il desiderio di ampiezza.  Tra i piedi con i loro piccoli passi e la testa creatrice di spazio e di lontananza.
Scrivere è, insomma dice Cinzia Marulli, cercare il percorso.  Cercare il “tra”. La poesia si fa allora messaggero di una scienza ben particolare che chiamerei “tralogia”. La scienza del sentiero.
E’ questo “tra”, che dà alla scrittura il suo territorio. Territorio che offre, attraverso il setaccio dei ricordi e dei desideri, i suoi temi alla poesia: il tempo che passa, l’evanescenza dei ricordi, con, dall’uomo all’altro, tutto quello che la vita promette e tradisce.  Temi universali divenuti atomi dell’intimo.  Ciò non impedisce il grido di dolore quando colpisce il male che l’Uomo infligge all’umanità. Quindi il poeta è come te e me, conclude Cinzia Marulli, egli si fa la doccia, va al bagno, fa la spesa, in breve, egli vive.  E vede fino a che punto il cerchio della vita è torturato dalla mano umana.  Con la bocca ferita costantemente da una domanda: come tanto male è possibile nel bene?

                                                                                                                 Jean Portante


traduzione di Jean Portante e Cinzia Marulli